PRIMA PARTE
1843-1848
VALPARAÍSO
Tutti nascono con qualche talento speciale ed Eliza Sommers scoprì presto di possederne due: un buon naso e una buona memoria. Il primo le servì per guadagnarsi da vivere e il secondo per potersene ricordare, se non con precisione, almeno con la poetica vaghezza degli astrologi. Quel che si dimentica è come se non fosse mai successo, e i suoi ricordi reali o illusori erano talmente tanti che per lei fu come vivere due volte Diceva sempre al suo fedele amico, il saggio Tao Chi'en, che la sua memoria era come il ventre della nave su cui si erano conosciuti, buia e spaziosa, zeppa di casse, barili e sacchi in cui si erano accumulati gli episodi di tutta la sua esistenza. Quando era sveglia faticava a trovare qualcosa in quel sommo disordine, ma poteva sempre farlo durante il sonno, proprio come le aveva insegnato Mama Fresia nelle dolci notti dell'infanzia, quando i contorni della realtà non erano che un tratto sottile di inchiostro pallido. Entrava allora nel luogo dei sogni per un sentiero più volte battuto e da li faceva ritorno con tutta la cautela necessaria per non straziare le tenui visioni alla luce aspra della coscienza. Confidava in tale risorsa come altri confidano nei numeri, e affinò a tal punto l'arte di ricordare che riusciva a vedere Miss Rose china su quella scatola di sapone di Marsiglia che era stata la sua prima culla.
"È impossibile che te ne ricordi, Eliza. I neonati sono come i gatti, non hanno né sentimenti né memoria," sosteneva Miss Rose nelle rare occasioni in cui toccavano quest'argomento.
Tuttavia quella donna che la guardava dall'alto, con un vestito color topazio e uno chignon da cui sfuggivano le ciocche arruffate dal vento, era impressa nella sua memoria, ed Eliza non riuscì mai ad accettare altra spiegazione sulla sua origine.
"Il tuo sangue è inglese, come il nostro," le assicurò Miss Rose quando raggiunse un'età sufficiente per comprendere. "Solamente a qualche membro della colonia britannica poteva venire in mente di metterti in una cesta davanti alla porta della Compagnia Britannica d'Importazione ed Esportazione. Sicuramente sapeva del buon cuore di mio fratello Jeremy e immaginò che ti avrebbe accolta. A quei tempi ero disposta a tutto pur di avere un bambino e tu mi piovesti tra le braccia, mandata dal Signore, per essere educata nei solidi principi della fede protestante e della lingua inglese."
"Tu inglese? Bimba mia, non farti illusioni, hai i capelli da india, come me," ribatteva Mama Fresia alle spalle della padrona.
La nascita di Eliza era un argomento tabù in quella casa e la bambina si abituò al mistero. Di questa, come di altre delicate questioni, non faceva parola con Rose e Jeremy Sommers, ma ne discuteva a bassa voce in cucina con Mama Fresia, che non modificò mai la descrizione della scatola di sapone, mentre con gli anni la versione di Miss Rose si arricchì fino ad assomigliare a una fiaba. A suo dire, la cesta rinvenuta nell'ufficio era fabbricata col vimine più fine e foderata di batista, il camicino di Eliza era ricamato a nido d'ape, le lenzuola erano bordate con pizzi di Bruxelles e, come se non bastasse, la neonata era protetta da una copertina di visone, stramberia mai vista in Cile. Con il tempo vennero aggiunte sei monete d'oro avvolte in un fazzoletto di seta e un bigliettino in inglese in cui si spiegava che la bambina, pur essendo illegittima, discendeva da un ottimo casato, ma Eliza non ebbe mai modo di vedere niente di tutto ciò. Il visone, le monete e il bigliettino sparirono opportunamente e della sua nascita non rimase traccia. La spiegazione di Mama Fresia, invece, si avvicinava di più ai suoi ricordi: una mattina di fine estate, sulla porta di casa, fu trovata una creatura di sesso femminile nuda dentro una scatola.
"Di copertine di visone e di monete d'oro neanche l'ombra. Io c'ero e mi ricordo molto bene. Eri lì che tremavi in un panciotto da uomo, nemmeno un pannolino ti avevano messo ed eri piena di cacca. Una mocciosa rossa come un'aragosta strabollita, con un ciuffetto da pannocchia sul cocuzzolo. Così eri. Non farti illusioni, della principessina non avevi niente e se avessi avuto i capelli neri come adesso, i padroni avrebbero buttato la scatola nella spazzatura," sosteneva la donna.
Quanto meno tutti concordavano nel ritenere che la bambina avesse fatto il suo ingresso nella vita il 15 marzo 1832, un anno e mezzo dopo l'arrivo dei Sommers in Cile, motivo per il quale tale data fu scelta come quella del suo compleanno. Tutto il resto non fu che un cumulo di contraddizioni e alla fine Eliza concluse che non valeva la pena sprecare energie nel tentativo di venirne a capo perché, quale che fosse la verità, non ci si poteva più fare niente. L'importante è quel che si fa al mondo, e non come ci si arriva, era solita dire a Tao Chi'en negli anni della loro splendida amicizia, ma lui non era d'accordo e gli sembrava impossibile immaginare la propria esistenza separata dalla lunga catena degli avi che avevano contribuito non solo a dargli le caratteristiche fisiche e mentali, ma che gli avevano trasmesso anche il karma. Il suo destino, diceva, era determinato dalle azioni dei parenti vissuti prima di lui e per questo era necessario onorarli con preghiere quotidiane e temere quelle figure spettrali quando apparivano a reclamare i loro diritti. Tao Chi'en era in grado di recitare i nomi di tutti i suoi avi fino ai più remoti e venerabili trisavoli morti più di un secolo prima. Ai tempi della corsa all'oro, la sua più grande preoccupazione era riuscire a tornare a morire nel suo paese, in Cina, per essere sepolto insieme ai suoi parenti; diversamente, la sua anima avrebbe vagato per sempre alla deriva in terra straniera. Eliza propendeva naturalmente per la storia della splendida cesta - a nessuno, sano di mente, piacerebbe venire al mondo in una scatola di sapone dozzinale - ma, a onor del vero, non poteva crederci. Il suo naso da segugio ricordava molto bene il primo odore della sua vita e non era quello di linde lenzuola di batista, ma di lana, di sudore d'uomo e di tabacco. Il secondo era stato un selvatico fetore di capra.
Eliza divenne grande guardando il Pacifico dal balcone della residenza dei suoi genitori adottivi. Arrampicata sui pendii di una collina del porto di Valparaìso, la casa cercava di imitare lo stile allora in voga a Londra, ma le caratteristiche del terreno, il clima e la vita in Cile avevano imposto alcune sostanziali modifiche e quella bislacca costruzione ne era il risultato. In fondo al patio, a mano a mano erano spuntate, come tumori organici, numerose stanze senza finestre e con porte da segrete in cui Jeremy Sommers immagazzinava i carichi più preziosi della compagnia, che nelle cantine del porto sarebbero spariti.
"Questo è un paese di ladri, in nessun posto del mondo si spende tanto come qui per assicurare le merci. Sparisce tutto e quel che si salva dai furti si inonda d'inverno, si brucia d'estate o viene distrutto da un terremoto," ripeteva ogni volta che i muli trasportavano nuovi colli da scaricare nel patio di casa.
Dal tanto stare seduta davanti alla finestra a guardare il mare per contare le navi e le balene all'orizzonte, Eliza si convinse di essere figlia di un naufragio e non di quella madre degenere che aveva avuto il coraggio di abbandonarla nuda nell'incertezza di un giorno di marzo. Sul suo diario scrisse che fu un pescatore a trovarla sulla spiaggia tra i resti di una barca ormai a pezzi, ad avvolgerla nel suo panciotto e a deporla davanti alla casa più grande del quartiere degli inglesi. Con gli anni giunse alla conclusione che questa versione non era affatto male: c'è una certa poesia e un alone di mistero in ciò che il mare restituisce. Se l'oceano si ritirasse, rimarrebbe solo sabbia e sabbia, un infinito deserto umido disseminato di sirene e pesci agonizzanti, diceva John Sommers, fratello di Jeremy e Rose, che aveva navigato per tutti i mari del mondo e sapeva descrivere con intensità come l'acqua scendeva in mezzo a un silenzio sepolcrale, per tornare in un'unica onda smisurata, travolgendo tutto al suo passaggio. Orribile, sosteneva, ma almeno c'era tempo per fuggire verso le colline; invece durante i terremoti le campane delle chiese rintoccavano per annunciare la catastrofe quando tutti stavano già scappando tra le macerie.
All'epoca in cui apparve la bambina, Jeremy Sommers aveva trent'anni e stava iniziando a gettare le fondamenta di un brillante futuro nella Compagnia Britannica d'Importazione ed Esportazione. Negli ambienti commerciali e bancari godeva fama di uomo d'onore: la sua parola e una sua stretta di mano equivalevano a un contratto firmato ed erano requisiti indispensabili in qualsiasi transazione, dato che le lettere di credito impiegavano mesi a solcare gli oceani. Per lui, privo di fortuna, il buon nome era più importante della vita stessa. A fatica si era guadagnato una posizione sicura nel remoto porto di Valparaìso, e per la sua esistenza organizzata l'ultimo degli eventi desiderabili era l'arrivo di una neonata a turbare la routine; ma quando Eliza piovve in casa sua non poté fare a meno di accoglierla, perché la vista di sua sorella Rose avvinghiata alla piccola come una madre lo indusse a cedere.
Rose aveva allora solo vent'anni, ma era già una donna con un passato alle spalle e le sue possibilità di contrarre un buon matrimonio erano pressoché nulle. D'altra parte aveva fatto i suoi conti e aveva concluso che il matrimonio, anche nel migliore dei casi, per lei sarebbe stato un pessimo affare; stando con il fratello Jeremy godeva di un'indipendenza che non avrebbe mai avuto con un marito. Era riuscita a far quadrare la sua vita e non si lasciava intimidire dal marchio di zitella, anzi, era decisa a suscitare l'invidia delle maritate - nonostante una teoria in voga sostenesse che alle donne, quando sfuggiva loro il ruolo di madre e sposa spuntassero i baffi, come alle suffragette - ma non aveva figli e questa era l'unica fonte d'angoscia che non riusciva a trasformare in trionfo attraverso l'esercizio disciplinato dell'immaginazione. A volte sognava che le pareti della sua camera fossero coperte di sangue, sangue che inzuppava il tappeto, sangue schizzato fino al soffitto, e lei, in mezzo, nuda e scapigliata come una pazza, stava partorendo una salamandra. Si svegliava gridando e passava il resto della giornata con gli occhi fuori dalle orbite, senza riuscire a liberarsi dall'incubo. Jeremy la osservava preoccupandosi per i suoi nervi e si sentiva in colpa per averla trascinata così lontano dall'Inghilterra, anche se non riusciva a non provare una certa egoistica soddisfazione quando pensava alla sistemazione trovata per entrambi. Siccome l'idea del matrimonio non lo aveva mai nemmeno sfiorato, la presenza di Rose risolveva problemi domestici e sociali, due aspetti importanti per la sua carriera. La sorella compensava la sua natura introversa e solitaria ed era per questo che ne sopportava di buon grado gli sbalzi d'umore e le spese inutili. Quando Eliza apparve e Rose insistette per tenerla, Jeremy non osò opporsi o esprimere meschine esitazioni, perse cavallerescamente tutte le battaglie, da quella per mantenere la bimba a distanza a quella relativa al nome da assegnarle.
"Si chiamerà Eliza, come nostra madre, e porterà il nostro cognome," decise Rose dopo averle dato da mangiare, averle fatto il bagno e averla avvolta nella sua mantiglia.
"Non se ne parla nemmeno, Rose! Hai idea di cosa direbbe la gente?"
"Di questo mi occuperò io. La gente dirà che sei un santo ad accogliere questa povera orfanella, Jeremy. Non c'è peggior disgrazia che non aver famiglia. Che ne sarebbe di me se non avessi un fratello come te?" replicò lei, conscia del terrore che coglieva il fratello al minimo accenno di sentimentalismo.
Le chiacchiere non si poterono evitare, anche a questo si dovette rassegnare Jeremy Sommers dopo aver accettato che la bambina prendesse il nome della madre, dormisse per i primi anni in camera di sua sorella e imponesse la confusione in casa. Rose divulgò l'incredibile storia della lussuosa cesta depositata da mani anonime nell'ufficio della Compagnia Britannica d'Importazione ed Esportazione e nessuno la bevve, ma non potendo accusarla di aver fatto un passo falso, dato che l'avevano vista ogni santa domenica cantare durante la funzione anglicana e il suo vitino di vespa era una sfida alle leggi dell'anatomia, conclusero che il bebé era frutto di una relazione di lui con qualche donna di malaffare e che per questo la stavano allevando come figlia di famiglia. Jeremy non si prese la briga di contraddire le voci maliziose. L'irrazionalità dei bambini lo sconcertava, ma Eliza trovò il modo di conquistarlo. Anche se non l'ammetteva, gli piaceva vederla giocare ai suoi piedi di pomeriggio, quando si sedeva sulla poltrona a leggere il giornale. Tra loro non c'erano dimostrazioni d'affetto, lui si irrigidiva alla semplice vista di una mano umana da stringere e l'idea di un contatto più intimo lo gettava nel panico.
Quando quel 15 marzo la neonata apparve a casa Sommers, Mama Fresia, che faceva le veci di cuoca e di governante, pensò che la dovessero allontanare.
"Se persino sua madre l'ha abbandonata, vuol dire che è maledetta ed è più prudente non toccarla," disse, ma nulla poté di fronte alla determinazione della padrona.
Non appena Miss Rose la prese in braccio, la creatura scoppiò a piangere a pieni polmoni, facendo tremare la casa e mettendo a dura prova i nervi dei suoi abitanti. Incapace di farla tacere, Miss Rose trasformò un cassetto del suo comò in culla, la coprì di coperte, e poi corse fuori sparata come un fulmine in cerca di una balia. Tornò poco dopo con una donna avvistata al mercato che non aveva avuto la prontezza di esaminare nel dettaglio: le era bastato vedere i grandi seni che scoppiavano da sotto la camicetta per assumerla in fretta e furia. Si trattava di una contadina un tantino ritardata che entrò in casa con il suo bebé, un povero bambino lercio quanto lei. Dovettero lasciare a lungo il bimbo a mollo in acqua tiepida per potergli staccare il sudiciume appiccicato sul posteriore e immergete la donna in acqua con candeggina per toglierle i pidocchi. I due neonati, Eliza e il bambino della nutrice, si consumavano in coliche di diarrea biliosa davanti alle quali sia il medico di famiglia sia il farmacista tedesco risultarono impotenti. Vinta dal pianto dei bambini, dettato non solo dalla fame ma anche dal dolore o dalla tristezza, anche Miss Rose piangeva. Alla fine, il terzo giorno, Mama Fresia intervenne controvoglia.
"Ma non vede che quella donna ha i capezzoli marci? Compri una capra per dar da mangiare alla bimba e le dia una tisana di cannella, se non vuole che prima di venerdì abbia tolto il disturbo," brontolò.
A quell'epoca Miss Rose rabberciava uno spagnolo stentato, ma comprese la parola capra, mandò il cocchiere a comprarne una e licenziò la balia. Non appena fu portato l'animale, l'india adagiò Eliza direttamente sotto le mammelle turgide, con orrore di Miss Rose che non aveva mai assistito a uno spettacolo tanto disgustoso, ma il latte tiepido e le infusioni di cannella presto migliorarono la situazione; la bambina smise di piangere, dormì per sette ore di seguito e si svegliò succhiando a vuoto freneticamente. Dopo pochi giorni aveva l'espressione placida dei neonati sani ed era evidente che stava aumentando di peso. Miss Rose comprò un biberon quando si rese conto che, quando la capra belava in cortile, Eliza iniziava ad annusare alla ricerca del capezzolo. Non voleva che la bambina crescesse con l'idea peregrina che quell'animale fosse sua madre. Le coliche furono uno dei rari malesseri di cui Eliza soffrì durante l'infanzia; gli altri vennero debellati ai primi sintomi grazie alle erbe e agli scongiuri di Mama Fresia, compresa la feroce epidemia di morbillo africano con cui un marinaio greco aveva infettato Valparaiso. Per tutto il periodo in cui durò la minaccia, Mama Fresia di notte collocò un pezzo di carne cruda sull'ombelico di Eliza e la fasciò stretta con un panno di lana rossa, rimedio segreto della natura per prevenire il contagio.
Durante gli anni successivi Miss Rose fece di Eliza il suo giocattolo. Per ore si divertiva a insegnarle a cantare e a ballare, a recitarle versi che la bimba imparava a memoria senza fatica, a intrecciarle i capelli e a vestirla con cura, ma non appena le si presentava un altro svago o l'assaliva l'emicrania la mandava in cucina con Mama Fresia. La bambina crebbe tra la stanza del cucito e i cortili sul retro, parlando inglese in una parte della casa e un miscuglio di spagnolo e ataucano - la lingua indigena della sua tata - nell'altra, vestita e calzata come una duchessa in certi giorni e in altri scalza e coperta appena da un grembiule da orfana a giocare con i cani e le galline. Miss Rose la presentava nelle sue serate musicali, la portava in carrozza a prendere la cioccolata nella miglior pasticceria, a far spese o a vedere le barche al molo, ma poteva anche trascorrere giorni interi concentrata a scrivere sui suoi misteriosi quaderni o a leggere un romanzo senza pensare minimamente alla protetta. Quando si ricordava di lei correva pentita a cercarla, la copriva di baci, la rimpinzava di leccornie e tornava a farle indossare quelle tenute da bambola per portarla a passeggio. Si preoccupò di darle la più completa educazione possibile, senza trascurare gli insegnamenti adatti a una signorina. In seguito a un ostinato capriccio di Eliza a proposito di alcuni esercizi di piano, la prese per un braccio e, senza attendere il cocchiere, la trascinò giù per la collina per dodici isolati fino a un convento. Sul muro di mattoni crudi, sopra un pesante portone di rovere con ribaditure in ferro, si leggeva a lettere stinte dal vento salino: Casa degli Esposti.
"Ringrazia che io e mio fratello ci siamo fatti carico di te. I bastardi e i bambini abbandonati finiscono qui. È questo che vuoi?"
Ammutolita, la ragazzina fece di no con la testa.
"E allora ti conviene imparare a suonare il pianoforte come una bambina perbene. Mi sono spiegata?"
Eliza imparò a suonare senza talento né stile, ma a forza di disciplina a dodici anni era in grado di accompagnare Miss Rose nelle serate musicali. Non perse tali capacità, nonostante i lunghi periodi senza esercizio, e diversi anni dopo poté guadagnarsi il pane in un bordello itinerante, eventualità che non era mai passata per la testa di Miss Rose quando si impegnava a insegnarle la sublime arte della musica.
Molto tempo dopo, durante uno di quei tranquilli pomeriggi trascorsi a prendere tè cinese e a chiacchierare con l'amico Tao Chi'en nel raffinato giardino che entrambi coltivavano, Eliza giunse alla conclusione che quell'inglese erratica era stata un'ottima madre e che le era grata per gli ampi spazi di libertà interiore che le aveva concesso. Mama Fresia era stata il secondo pilastro della sua infanzia. Attaccata alle sue ampie gonne nere, la accompagnava nei lavori e già che c'era la faceva diventare matta a suon di domande. Fu così che imparò leggende e miti indigeni, a decifrare i segni degli animali e del mare, a riconoscere le abitudini degli spiriti e i messaggi dei sogni e anche a cucinare. Con il suo naso infaticabile era in grado di distinguere a occhi chiusi ingredienti, erbe e spezie e, allo stesso modo in cui ricordava le poesie, ricordava anche come utilizzarli. Ben presto i complicati piatti creoli di Mama Fresia e la fine pasticceria di Miss Rose persero il loro mistero. Possedeva una rara vocazione culinaria, a sette anni poteva togliere senza ribrezzo la pelle a una lingua di vacca o le interiora a una gallina, impastare venti empanadas senza il minimo sforzo e passare ore intere a sgranare fagioli, mentre ascoltava a bocca aperta le crudeli leggende indigene di Mama Fresia e le sue colorite versioni delle vite dei santi.
Rose e suo fratello John erano stati inseparabili fin da bambini. Lei passava l'inverno a lavorare ai ferri i panciotti e le maglie per il capitano e lui si sforzava di portarle da ogni viaggio valigie piene di regali e grandi casse di libri, molti dei quali finivano sottochiave nell'armadio di Rose. Jeremy, in quanto padrone di casa e capofamiglia, avrebbe potuto esercitare la facoltà di aprire la corrispondenza della sorella, di leggere il suo diario personale e di esigere una copia delle chiavi dei suoi mobili, ma non dimostrò mai il desiderio di farlo. Jeremy e Rose mantenevano una relazione domestica basata sulla serietà, avevano poco in comune, salvo la reciproca dipendenza che a volte sembrava loro una forma segreta d'odio. Jeremy provvedeva alle necessità di Rose, ma non finanziava i suoi capricci né si chiedeva da dove sbucassero i soldi per i suoi ghiribizzi, dando per buono che glieli lasciasse John. In cambio, lei si occupava della conduzione della casa con efficienza e stile, presentando sempre conti chiari, ma senza tediarlo con i dettagli. Era dotata di un buon gusto sicuro e di una grazia naturale, donava luce alla vita di entrambi e con la sua presenza contraddiceva la credenza, molto diffusa in quelle zone, che un uomo senza famiglia fosse un potenziale degenerato.
"La natura maschile è selvaggia; il destino della donna è preservare i valori morali e la buona condotta," sosteneva Jeremy Sommers.
"Ah, fratello mio! Tu e io sappiamo che la mia natura è più selvaggia della tua," si burlava Rose.
Jacob Todd, un carismatico rosso di capelli, con la più bella voce da predicatore che si fosse mai sentita da quelle parti, sbarcò a Valparaiso nel 1843 con un carico di trecento copie della Bibbia in spagnolo. Vedendolo arrivare nessuno si stupì: era l'ennesimo missionario dei tanti che bazzicavano in ogni angolo predicando la fede protestante. Nel suo caso, tuttavia, la ragione del viaggio andava cercata nella sua curiosità di avventuriero e non nel fervore religioso. In una spacconata da viveur con troppa birra in corpo, a un tavolo da gioco del suo club di Londra aveva scommesso che avrebbe potuto vendere bibbie in qualsiasi punto del pianeta. I suoi amici gli avevano bendato gli occhi, avevano fatto girare un mappamondo e il suo dito era caduto su una colonia del Regno di Spagna, sperduta nell'emisfero meridionale, dove nessuno di quegli allegri camerati sospettava che vi fosse vita. Presto Todd scoprì che la cartina non era aggiornata: la colonia aveva ottenuto l'indipendenza da più di trent'anni e ora costituiva l'orgogliosa Repubblica del Cile, un paese cattolico in cui le idee protestanti non avevano accesso. Ma la scommessa ormai era fatta e lui non era disposto a tirarsi indietro. Celibe, senza legami affettivi o professionali, venne immediatamente attirato dall'eccentricità di un simile viaggio. Considerati i tre mesi di navigazione tra due oceani per l'andata e gli altri tre per il ritorno, il progetto era senz'altro di ampio respiro. Tra le ovazioni degli amici, che gli vaticinarono un finale tragico in mano ai papisti di quell'ignoto e barbaro paese, e con il sostegno finanziario della Società Biblica Britannica e Straniera che gli procurò i libri e il biglietto, iniziò la lunga traversata in bastimento, rotta per il porto di Valparaìso. La sfida consisteva nel vendere le bibbie e tornare allo scadere di un anno con una ricevuta firmata per ognuna di esse. Negli archivi della biblioteca lesse la corrispondenza di uomini illustri, marinai e commercianti che erano stati in Cile e che descrivevano una popolazione meticcia di poco più di un milione di anime e una strana geografia caratterizzata da impressionanti montagne, coste scoscese, fertili valli, boschi millenari e ghiacciai eterni. Stando a quanto assicuravano coloro che l'avevano visitato, in materia religiosa era il paese più intollerante dell'intero continente americano. Malgrado tutto ciò, virtuosi missionari avevano tentato di diffondere il protestantesimo e, senza spiccicare una sola parola di castigliano o della lingua degli indios, erano arrivati a sud, là dove la terraferma si sgrana in un rosario di isole. Alcuni di loro erano morti di fame, di freddo o, si sospettava, divorati dai loro stessi fedeli. Anche nelle città non avevano avuto maggior fortuna: il senso dell'ospitalità, sacro per i cileni, aveva avuto la meglio sull'intolleranza religiosa e solo per cortesia era stato permesso loro di predicare, senza però curarsene più di tanto. Le persone che partecipavano agli incontri con i pochi pastori protestanti erano animate dallo spirito con cui si va a uno spettacolo, divertite dall'originalità di un contatto con gli eretici. Niente di tutto ciò riuscì a scoraggiare Jacob Todd, che non si recava là in qualità di missionario, bensì di venditore di bibbie.
Negli archivi della biblioteca scoprì che dall'anno della sua indipendenza, il 1810, il Cile aveva aperto le porte agli immigranti che, giunti a centinaia, si erano stabiliti in quel lungo e angusto territorio bagnato dalla testa ai piedi dall'Oceano Pacifico. Gli inglesi avevano fatto rapidamente fortuna come commercianti e armatori, e molti di loro si erano portati dietro le famiglie per stabilirsi lì. Di fatto, avevano creato una piccola nazione all'interno del paese che riproduceva abitudini e culti, con i loro giornali, club, scuole e ospedali, ma l'avevano fatto con un garbo tale che, lungi dal suscitare sospetto, venivano considerati un esempio di civiltà. Avevano acquartierato la flotta a Valparaìso per poter controllare il traffico marittimo del Pacifico e così, da misera borgata senza futuro qual era alla nascita della repubblica, Valparaiso in meno di vent'anni si era trasformata in uno scalo importante a cui approdavano i velieri che provenivano dall'Atlantico passando per Capo Horn e più tardi le navi a vapore che attraversavano lo Stretto di Magellano.
Quando Valparaiso apparve ai suoi occhi, per l'esausto viaggiatore fu una vera sorpresa. Nel porto sostava più di un centinaio di imbarcazioni che battevano bandiere di mezzo mondo. Le montagne dai picchi innevati sembravano così vicine che davano l'impressione di emergere direttamente da un mare blu cobalto che sprigionava un'irresistibile fragranza di sirene. Jacob Todd non venne mai a sapere che sotto quella parvenza di pace assoluta c'era una città intera di velieri spagnoli inabissati e scheletri di patrioti con una pietra legata alle caviglie, ancorati laggiù per opera dei soldati del Capitano Generale. L'imbarcazione si ancorò nella baia, tra migliaia di gabbiani affamati che agitavano l'aria con le loro terribili ali e il loro gracchiare. Innumerevoli barche fendevano le onde di prua, alcune di esse cariche di gronghi enormi e di spigole ancora vivi che si dibattevano disperatamente. Valparaìso, gli dissero, era l'emporio commerciale del Pacifico: nelle sue cantine si stoccavano metalli, lana di pecora e di alpaca, cereali e cuoio per i mercati del mondo. Diverse scialuppe trasportarono a terra i passeggeri e il carico del veliero. Una volta sul molo, tra marinai, stivatori, passeggeri, asini e carretti, Jacob Todd si ritrovò in una città incassata in un anfiteatro di colline scoscese, animata e sporca come molte sue rinomate consimili in Europa. Gli parve uno svarione architettonico di case di mattoni e legno in strade strette che il più piccolo incendio poteva in poche ore trasformare in cenere. Un calesse trainato da due cavalli malconci lo condusse con i bauli e le casse del suo bagaglio all'Hotel Inglés. Passò davanti a edifici solidi che sorgevano intorno a una piazza, a diverse chiese piuttosto mediocri e a residenze a un piano circondate da ampi giardini e orti. Contò un centinaio di isolati ma si rese ben presto conto che la città, un dedalo di viuzze e passaggi, ingannava la vista. In lontananza scorse un quartiere di pescatori con casette esposte alle raffiche provenienti dal mare, con le reti appese come a formare gigantesche ragnatele e, oltre, fertili campi coltivati a ortaggi e frutta. Circolavano carrozze moderne come quelle londinesi, barrocci, fiacre e calessi, e anche muli da tiro scortati da bambini straccioni e carretti trainati da buoi proprio nel centro della città. Agli angoli, frati e monache mendicavano elemosine per i poveri tra mute di cani vagabondi e galline disorientate. Vide donne cariche di sporte e ceste che trascinavano i figli, scalze, ma con il capo velato di nero, e molti uomini con cappelli a cono seduti sulle soglie delle case o riuniti in gruppetti a chiacchierare, sempre oziosi.
Un'ora dopo essere sceso dall'imbarcazione, Jacob Todd si trovava seduto nell'elegante salone dell'Hotel Inglés a fumare sigari importati dal Cairo e a sfogliare una rivista britannica non proprio aggiornata in quanto a notizie. Sospirò soddisfatto: a prima vista, aveva la sensazione che non ci sarebbero stati problemi d'adattamento e, amministrando bene la sua rendita, li avrebbe potuto vivere comodamente come a Londra. Stava attendendo che qualcuno accorresse per servirlo - a quanto pareva, da quelle parti nessuno aveva fretta - quando gli si avvicinò John Sommers, il capitano del veliero sul quale aveva viaggiato. Era un uomo robusto, dai capelli scuri e dalla pelle brunita dal sole come cuoio da scarpe, che si vantava di essere un forte bevitore, donnaiolo e infaticabile giocatore di carte e dadi. Erano diventati buoni amici e il gioco aveva tenuto loro compagnia nelle interminabili notti di navigazione in alto mare e nei giorni tumultuosi e gelati in cui avevano doppiato Capo Horn, nel Sud del mondo. John Sommers era accompagnato da un uomo pallido, dalla barba ben curata, vestito di nero dalla testa ai piedi, che risultò essere suo fratello Jeremy. Trovare due esemplari umani più diversi sarebbe stato difficile. John, il ritratto in carne e ossa della salute e della forza, era franco, rumoroso e amabile, mentre l'altro aveva un'aria da spettro prigioniero di un inverno senza fine. Era una di quelle persone che non sono mai del tutto presenti e che non è facile ricordare poiché prive di contorni precisi, concluse Jacob Todd. Senza attendere di essere invitati, si avvicinarono al suo tavolo con la familiarità dei compatrioti in terra straniera. Alla fine apparve una cameriera e il capitano John Sommers ordinò una bottiglia di whisky, mentre suo fratello ordinava un tè in quel codice inventato dai britannici per farsi capire dalla servitù.
"Come vanno le cose a casa?" indagò Jeremy. Parlava a bassa voce, quasi a mormorii, muovendo appena le labbra e con un accento non privo di affettazione.
"Da trecento anni in Inghilterra non succede niente," disse il capitano.
"Mi scusi per la curiosità, Mr Todd, ma vedendola entrare in albergo non ho potuto fare a meno di notare il suo bagaglio. Mi sembrava che ci fossero svariate casse segnate come bibbie... o mi sbaglio?" chiese Jeremy Sommers.
"Assolutamente no, sono proprio bibbie."
"Ma non eravamo stati avvisati che sarebbe stato mandato un altro pastore..."
"Abbiamo navigato insieme per tre mesi e non mi ero proprio accorto che lei fosse un pastore, Mr Todd!" esclamò il capitano.
"In realtà non lo sono," replicò Jacob Todd, dissimulando l'imbarazzo dietro una boccata di fumo del sigaro.
"Missionario, allora. Pensa di andare nella Terra del Fuoco, immagino. Gli indios patagoni sono pronti per essere evangelizzati. Degli araucani si dimentichi, caro mio: li hanno già catturati i cattolici," commentò Jeremy Sommers.
"Di araucani non ne sarà rimasta che una manciata. Questa gente ha il vizio di farsi massacrare," specificò il fratello.
"Erano gli indigeni più selvaggi d'America, Mr Todd. La maggior parte morì combattendo contro gli spagnoli. Erano cannibali."
"I prigionieri li tagliavano a pezzi da vivi: la cena la gradivano fresca," aggiunse il capitano. "Lei e io faremmo la stessa cosa se qualcuno ci uccidesse la famiglia, mettesse a fuoco il villaggio e ci rubasse la terra."
"Fantastico, John; adesso difendi il cannibalismo!" replicò il fratello, disgustato. "A ogni modo, Mr Todd, le consiglio di lasciare perdere i cattolici. Non dobbiamo provocare i nativi. Questa è gente molto superstiziosa."
"Le credenze altrui sono superstizioni, Mr Todd. Le nostre si chiamano religione. Gli indigeni della Terra del Fuoco, i patagoni, sono molto diversi dagli araucani."
"Ma sono ugualmente selvaggi. Vivono nudi in un clima spaventoso," disse Jeremy.
"Porti loro la sua religione, Mr Todd, vediamo se almeno imparano a usare i pantaloni," aggiunse il capitano.
Todd non aveva mai sentito nominare quegli indigeni e l'ultima cosa che desiderava era andare a predicare qualcosa in cui nemmeno lui credeva, ma non osò confessare che il suo viaggio era il risultato di una scommessa tra ubriachi. Rispose, stando sul vago, che pensava di organizzare una spedizione missionaria, ma che doveva ancora decidere come finanziarla.
"Se avessi saputo che veniva a predicare a questa brava gente i disegni di un dio tirannico, mi sarei sbarazzato di lei in mezzo all'Atlantico, Mr Todd."
Li interruppe la cameriera con il whisky e il tè. Era un'adolescente in fiore stretta in un abito nero con cuffietta e grembiule inamidati. Chinandosi con il vassoio, lasciò nell'aria una perturbante fragranza di fiori essiccati e di stiratura a carbone. Nelle ultime settimane Jacob Todd non aveva visto donne e rimase incantato a guardarla con un groppo di solitudine. John Sommers aspettò che la ragazza si allontanasse.
"Faccia attenzione, mio caro, le cilene ammaliano," disse.
"Non direi. Sono basse, larghe di fianchi e hanno una voce sgradevole," disse Jeremy Sommers tenendo in equilibrio la tazza di tè.
"Ma se per loro i marinai disertano!" esclamò il capitano.
"Lo ammetto, in fatto di donne non sono certo un'autorità. Non ho tempo per dedicarmici. Debbo occuparmi degli affari e di nostra sorella, te ne sei dimenticato?"
"Neanche per un istante, visto che me lo ricordi sempre. Vede, Mr Todd, io sono la pecora nera della famiglia, la testa matta. Se non fosse per la bontà di Jeremy..."
"Quella ragazza sembra spagnola," lo interruppe Jacob Todd seguendo con gli occhi la cameriera, che in quel momento stava servendo a un altro tavolo. "Ho vissuto due mesi a Madrid e ne ho viste molte come lei."
"Qui sono tutti meticci, persino nelle classi alte. Non lo ammettono, ovviamente. Il sangue indio viene nascosto come fosse una calamità. Non li biasimo, gli indigeni hanno fama di essere sporchi, ubriaconi e pigri. II governo cerca di migliorare la razza chiamando immigranti europei. Nel Sud regalano le terre ai coloni."
"Il loro sport preferito è ammazzare indigeni per prendersi la terra."
"Stai esagerando, John."
"Non sempre è necessario eliminarli con una pallottola, basta farli bere. Ma certo ammazzarli è molto più divertente. A ogni modo, noi britannici non prendiamo parte a questo genere di passatempi, Mr Todd. Perché mai dovremmo piantare patate se possiamo far fortuna senza sfilarci i guanti?"
"Qui le possibilità non mancano per chi ha spirito imprenditoriale. In questo paese c'è ancora tutto da fare. Se preferisce lo sviluppo, vada al Nord. C'è argento, rame, salnitro, guano..."
"Guano?"
"Merda d'uccello," chiarì l'uomo di mare.
"Non è il mio campo, Mr Sommers."
"Far fortuna non interessa a Mr Todd, Jeremy. Lui si occupa di fede cristiana, vero?"
"La colonia protestante è numerosa e prospera, la aiuterà. Domani venga a casa mia. Di mercoledì mia sorella Rose organizza delle serate musicali e sarà una buona occasione per farsi degli amici. Manderò la mia carrozza a prenderla alle cinque. Si divertirà," disse Jeremy Sommers, congedandosi.
Il giorno successivo, rimesso a nuovo da una notte senza sogni e da un lungo bagno che gli tolse la salsedine che gli si era incollata all'animo, ma ancora con il passo barcollante di chi ha navigato a lungo, Jacob Todd uscì a passeggiare per il porto. Percorse senza fretta la strada principale parallela al mare, così vicina alla riva che le onde lo spruzzavano, bevve qualche bicchierino in un caffè e mangiò in un'osteria del mercato. Se n'era andato dall'Inghilterra nel febbraio di un gelido inverno e dopo aver attraversato un eterno deserto di acque e stelle, in cui aveva perso addirittura il filo dei suoi passati amori, era arrivato nell'emisfero meridionale all'inizio di un altro inverno impietoso. Prima di partire non gli era venuto in mente di informarsi sul clima. Aveva immaginato un Cile caldo e umido come l'India, perché pensava che i paesi dei poveri fossero così, e si era ritrovato alla mercè di un vento gelido che gli raschiava le ossa e sollevava mulinelli di sabbia e spazzatura. Si perdette più di una volta nelle strade tortuose, girando e rigirando per ritrovarsi poi nel medesimo punto da cui era partito. Salì per viuzze torturate da scale infinite e orlate da case assurde che non erano appese a nulla, cercando, con discrezione, di non disturbare l'intimità altrui guardando dalle finestre. Incappò in romantiche piazze dall'aspetto europeo coronate da slarghi in cui le bande militari suonavano musica per innamorati e passeggiò per timidi giardini calpestati dagli asini. Ai bordi delle strade principali si innalzavano alberi superbi nutriti dalle fetide acque che scendevano a vista dalle colline. Nella zona commerciale era talmente evidente la presenza dei britannici che si respirava un'atmosfera illusoria di altre latitudini. Le insegne di molti negozi erano in inglese e i suoi compatrioti a passeggio erano vestiti come a Londra, con gli stessi ombrelli neri da becchini. Non appena si allontanò dalle strade centrali, la povertà lo investì con l'imprevedibilità di uno schiaffo; vide gente nuda, sonnolenta, soldati con le uniformi logore e accattoni ovunque. A mezzogiorno esplosero all'unisono le campane delle chiese e immediatamente la confusione cessò, i passanti si fermarono, gli uomini si levarono i cappelli, le poche donne presenti si inginocchiarono e tutti si fecero il segno della croce. La visione durò il tempo di dodici rintocchi e subito dopo nella strada riprese l'attività come non fosse successo nulla.